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N. 25 - Giugno 2007

LA PROPAGANDA RADIOFONICA DEL FASCISMO

Il nuovo mass media al servizio del regime

di Marco Grilli

 

Le origini della radio

La nascita della radiofonia in Italia risale all’istituzione dell’Unione Radiofonica Italiana (agosto 1924). Ottenuta la concessione governativa in monopolio, l’URI iniziò le trasmissioni (6/10/1924) lanciando l’epopea della radio, strumento destinato ad incidere sulla vita, la mentalità, le abitudini, e i rapporti sociali dell’Italia del tempo.

Fino agli anni ’30 il regime privilegiò l’informazione e la propaganda scritta; solo col tempo comprese la capacità di penetrazione dello strumento radiofonico, considerati gli alti tassi d’analfabetismo e la scarsa propensione alla lettura.

Il 27 Novembre 1927, un Decreto legislativo trasformò l’URI in Ente Italiana Audizioni Radiofoniche (EIAR), struttura a capitale privato con sostegno finanziario dello Stato.

La radio rimase a lungo in Italia un genere di lusso, una sorta di status symbol dell’alta borghesia urbana visti gli alti costi di licenza, il difficile processo d’elettrificazione delle aree poco sviluppate e l’ostilità dei settori produttivi alla realizzazione d’apparecchi a basso costo.

Mussolini, dopo un attento studio delle potenzialità pedagogiche e propagandistiche del mezzo, lanciò la campagna “Il villaggio deve avere la radio” (per l’ascolto di massa) in concomitanza con lo slogan hitleriano “La radio in ogni casa” (per l’ascolto individuale).

L’efficienza dell’industria tedesca portò alla larga diffusione del VE301, apparecchio pratico venduto con facilitazioni di pagamento; il duce rispose con l’ascolto collettivo in sedi comunali di partito, scuole e caserme, agevolando con sgravi fiscali i locali pubblici.

L’Ente Radio Rurale

Nel 1933 iniziarono le trasmissioni dell’Ente Radio Rurale (1933), organo rivolto agli studenti (la domenica agli agricoltori), allo scopo di promuovere l’acculturazione di massa. La radiofonia entrava nelle scuole; lo stato fascista impose all’industria la costruzione del RadioRurale, decorato con due fasci littori fra spighe di grano.

Una vasta documentazione indica gli sforzi di ogni scuola per l’acquisto del mezzo (donazioni, collette, lotterie). Dopo aver già irreggimentato i giovani studenti con le sue organizzazioni, il fascismo intendeva ora affiancarsi all’azione didattico-educativa dei maestri, con la proposizione di programmi: “dall’impronta vigorosa, fascista e guerriera”.

 L’ascolto collettivo nelle scuole elementari iniziò il 19 Aprile 1933, questo il discorso inaugurale: “L’ ERR costituito dal governo fascista si propone di far giungere a tutte le scuole l’eco degli avvenimenti più notevoli e delle creazioni più geniali della vita nazionale. (…) Voi, fanciulli d’Italia… sentirete la soddisfazione di servire l’Italia, di obbedire all’alto e sublime comando del Re e del Duce “.

Vane furono le rimostranze degli insegnanti: nei programmi per le scuole, trasmessi almeno tre volte a settimana, risaltavano le radioscene ispirate agli avvenimenti principali dell’epopea fascista, rivissuti nella trasfigurazione mitica della realtà.

Grande successo ebbero anche i disegni radiofonici, dove i bambini, chiamati a seguire le direttive del conduttore, finivano per realizzare un simbolo o valore del regime.

Con l’anno scolastico 1938-’39 cambiò il tono delle trasmissioni; promulgate le leggi razziali, l’Italia scivolò verso una pericolosa alleanza politico ideologica col nazismo.

Si moltiplicarono i collegamenti con caserme ed accademie militari e le esercitazioni di radiotelegrafia; forte era la volontà di inculcare nei giovani i valori bellici e l’amor di Patria.

Le due ore dedicate alle “Voci dalla Germania” simboleggiavano il legame ormai indissolubile tra i due regimi totalitari.

 L’ERR si mosse anche verso il mondo rurale con “L’ora dell’agricoltore” (1934).

Celebri i dialoghi tra Menico, Timoteo e Dorotea, personaggi fissati in stereotipi divenuti miti dell’immaginario collettivo.

La nuova trasmissione rompeva l’isolamento della vita contadina e portava alla ribalta le masse rurali, particolarmente fiere degli intervalli musicali considerati segno di riscatto sociale.

Il regime, nel contatto diretto con le masse, si presentava sotto la veste paternalistica del pacificatore sociale, attento al miglioramento generale delle condizioni di vita.

In forma semplice e diretta furono diffuse indicazioni tecniche e accorgimenti sul lavoro, fondamentali nell’ottica autarchica.

Nacque una sorta di febbre per l’ascolto de “L’ora dell’agricoltore “, le masse rurali ribadivano lo stupore per il miracolo marconiano che: “fa leggere anche chi non legge”.

Nell’ottica popolare, ferma la divisione dei ruoli: “La politica a Mussolini, la vanga a noi, la musica quando si può", il mito del duce prevaleva perfino sulla fede nel fascismo.

Nel 1936 nacque la rubrica “I dieci minuti del lavoratore", dedicata agli operai delle fabbriche.

Questa trasmissione mascherava la crisi economica, aggravata dalle sanzioni conseguenti alla guerra di Etiopia, ed esaltava la sobrietà e la tenacia dei lavoratori che con la loro opera rendevano vana “la meschinità della coalizione sanzionista delle potenze demoplutocratiche”.

L’ERR chiuse la sua attività il 4 Aprile 1940; in pieno clima di guerra le sue funzioni furono assorbite dall’EIAR.

Le trasmissioni per bambini e le celebrazioni del calendario fascista

Il pubblico infantile era l’obiettivo specifico di parte della programmazione pomeridiana. Nota la figura di Cesare Ferri (Nonno Radio), insegnante romano che lanciò “ Il giornale radiofonico del fanciullo” (Radio Roma, 1925). Particolarmente apprezzata dal Duce, la rubrica che esaltava le glorie patrie comprendeva comunicati sugli avvenimenti del giorno, la lettura di una favola, un calendarietto storico religioso e la corrispondenza.

Altra “star” del pubblico infantile era Giuseppe Eugenio Chiorino (Baffo di Gatto), conduttore del “Gaio Radio Giornalino” (Radio Torino, 1929) noto per le sue novelle moraleggianti volte a formare il giovane fascista fedele, laborioso e combattivo.

L’immagine di Mussolini si scolpiva nelle menti infantili come quella del padre, bonificatore dell’agro romano, benefattore e sommo interprete della giustizia.

Le celebrazioni del calendario fascista ricoprivano un ruolo fondamentale nella propaganda radiofonica, poiché espressioni di coesione e manifestazioni di forza.

Il duce, consapevole che per governare occorrevano le redini dell’entusiasmo e dell’interesse, era convinto che senza riti e simboli la fede non potesse durare.

Nel calendario liturgico fascista si assisteva ad interventi radiofonici rievocativi, solenni nel tono ed aggressivi  nel linguaggio.

Frequente era il ricorso agli slogan dall’intento persuasivo- “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”- ed ai numeri, spesso falsificati per accentuare il sacrificio dei “Martiri della Rivoluzione” o la partecipazione alle manifestazioni.

 Il movimento fascista era ricordato come: “La forza dominante che ha reso servizi inestimabili al paese, sconfiggendo la Bestia Trionfante del bolscevismo, gli antinterventisti e i fautori della lotta di classe, l’immobilismo di uno stato liberale incapace di mettere a frutto i risultati della Vittoria”. Preponderante in tutti gli interventi radiofonici era la figura del Duce, anima della Rivoluzione, uomo della Provvidenza, capo indiscusso del movimento fascista e fondatore dell’Impero.

Nell’esaltazione del nuovo “Dio d’Italia”, la fedeltà incondizionata e la mancata obiettività annullarono le differenze tra il Mussolini uomo e il Nume protettore; il tutto in una cultura che credeva al culto dell’eroe come fattore di storia.

Nelle rievocazioni ritornava anche il mito di Roma, universale ed eterna.

Roma come mito della stirpe italiana e idea di Impero, inteso come espansione territoriale e militare, spirituale e morale.

La propaganda radiofonica fascista raggiunse anche il bacino mediterraneo e le Americhe, ribadendo l’attenzione verso i figli lontani della Patria.

Il fascismo e i cattolici

I Patti Lateranensi del 1929 posero fine al secolare contrasto tra Stato e Chiesa.

Non mancarono però dissidi in merito all’azione educativa e al controllo delle coscienze, il fascismo fu infatti un tentativo d’istituzionalizzazione di una nuova religione laica, legata alla sacralizzazione della politica.

Inizialmente la Chiesa cattolica considerò la radio “strumento del diavolo”.

I generi criticati erano il teatro di prosa, le canzonette e la musica da ballo, che attaccavano la morale cristiana e l’unità della famiglia.

Nel 1927 le autorità ecclesiastiche vietarono l’installazione di apparecchi radio negli istituti religiosi, punti ribaditi da Pio XI nell’enciclica “Casti Connubi” (1930).

La svolta si ebbe nel 1928 grazie a Padre Vittorio Facchinetti, predicatore francescano di Radio Milano. Dopo una lunga serie di rubriche quaresimali, iniziò l’appuntamento domenicale con la lettura e il commento del Vangelo; per il grande successo di pubblico ogni stazione andò alla ricerca del proprio predicatore. Dalle prediche si passò alla trasmissione della Messa in versione cantata dalla Basilica della S.S. Annunziata di Firenze, la Chiesa approvò così l’ascolto radiofonico per assolvere il precetto domenicale.

 “Frate radio” (pseudonimo di Facchinetti) teneva la triade “ Dio, Patria, Famiglia” come nucleo portante delle sue predicazioni.

Nel 1931 fu inaugurata la stazione romana della Radio Vaticana; Facchinetti esaltò il Regime e il suo capo che restituivano valore al sentimento religioso del popolo, proteggendo e rispettando la fede.

Nell’interpretazione dei fatti del XX secolo, “Frate radio” spiegava la Grande Guerra come effetto dell’anticlericalismo e rivolgeva dure parole di condanna verso la rivoluzione bolscevica, espressione dell’ateismo e del materialismo. L’appoggio all’operato del Regime era ormai totale: dall'autarchia esempio di sobrietà alla politica demografica, fondata sulle prolificità e sul valore della famiglia, fino alla guerra d’Etiopia, “missione civilizzatrice” necessaria per dare terra e lavoro agli abitanti di un paese glorioso.

 I caduti italiani furono definiti: “Martiri del dovere, eroi del patriottismo, apostoli della civiltà e pionieri della croce”.

Diverse furono invece le posizioni dei predicatori verso gli ebrei: dall’antisemitismo sfegatato di mons. Petazzi, allo sdegno di Don Magri verso la politica di discriminazione razziale e religiosa del III Reich.

La politica antisemita colpì anche il settore dello spettacolo, tanto che la commissione per la musica leggera finì per eliminare la musica ebrea dal nostro repertorio.

Con l’applicazione delle leggi razziali (1938) fu vietato il possesso della radio agli ebrei.

Conversatori, radiocronisti e umoristi

Le conversazioni si affermarono come genere riempitivo serale.

Di tono didascalico, costituivano un intrattenimento su molteplici temi:  storia, scienza, commenti di libri e mostre, aneddoti.

Per scrittori, letterati e giornalisti si aprivano nuove possibilità di lavoro in un clima clientelistico, dove prebende e favori erano la naturale conseguenza delle lodi portate al regime.

Altra tipica figura radiofonica era quella del radiocronista, al quale si richiedevano sensibilità, eloquenza e capacità d’improvvisazione.

Le radiocronache sportive suscitarono passione tra gli ascoltatori: calcio, ciclismo, motori e boxe furono gli appuntamenti più graditi dal pubblico.

L’EIAR investì molto sullo sport, ritenuto fondamentale dal fascismo non solo per la salute fisica e morale, ma anche per i valori di obbedienza alle regole, cameratismo e spirito di sacrificio.

L’uomo sano, forte e combattivo rappresentava il perfezionamento della stirpe italiana, mentre le competizioni sportive in tempo di pace alimentavano il nazionalismo.

Figura eminente delle radiocronache sportive fu Niccolò Carosio, esaltato dalla massa per l’emotività dei suoi resoconti. La sua voce si legò alle partite della Nazionale di calcio trionfante nei mondiali del 1934 e '38.

Lo spettacolo leggero trovò maggiori difficoltà: secondo gli scopi dirigenziali la radio doveva mantenere un tono perbenista ed uno scopo pedagogico.

Dopo i primi successi dell’operetta, si affermarono le conversazioni umoristiche con autori quali Campanile, Zavattini e Colantuoni.

Tra gli umoristi non mancarono cenni ironici a tutela dei provvedimenti presi dal regime ( ad es. Colantuoni appoggiò la “Battaglia del libro” e le restrizioni dello stato fascista per combattere il lusso e la depravazione morale).

Poco prima della guerra, molti umoristi delle riviste si avvicinarono ai microfoni: notevole fu l’operato in chiave preventiva e di controllo di Leopoldo Zurlo, l’incaricato alla censura presso il Ministero della cultura popolare.

Il radiogiornale e la radiofonia di guerra

Il Radiogiornale nacque a Milano nel 1929; la redazione fu unificata solo nel 1935 a Roma, con cinque edizioni giornaliere.

Vivo e agile, con molte notizie e pochi commenti, dal 1933 fu integrato con le “Cronache del Regime” di Roberto Forges Davanzati, nazionalista e membro del Gran-Consiglio, un appuntamento fisso del palinsesto dedicato alla pura propaganda.

Con tono affascinante e persuasivo, in dieci minuti si commentavano i principali fatti interni e internazionali, allo scopo di convincere le masse sul benefico operato del governo fascista.

Dopo la morte improvvisa di Forges-Davanzati (1936), la trasmissione fu ripresa nell’ottobre ’36 e divisa in settori con diversi responsabili, cambiando nome prima in “Cronache fasciste” e poi in “Commento ai fatti del giorno”.

Negli anni di guerra s’impose uno spregiudicato commentatore, Mario Appelius.

Con lunghe invettive sarcastiche, Appelius gonfiava gli avvenimenti ostentando sicurezza nella vittoria finale dell’Asse. Stucchevole ed enfatico, sputava ai microfoni tutto il suo odio verso le plutocrazie, suo il motto: “Dio stramaledica gli inglesi”.

Fervido ammiratore della Germania, fu osteggiato anche dal pubblico fascista tanto da meritarsi il soprannome di Mario App, vista la tendenza degli ascoltatori a chiudere la radio appena sentivano la sua voce. La sua rovina coincise con la chiusura della rubrica.

Sempre più massiccio fu il ricorso del regime ai radiocronisti in occasione delle principali manifestazioni; gli altoparlanti portavano ovunque il credo fascista con cronisti fedeli quali De Stefani, Cremascoli e Palmieri. Quest’ultimo divenne “commissario politico dell’EIAR” e fu ideatore di molti programmi tra cui Radio Igea, una rubrica inaugurata nel ’39 rivolta ai feriti di guerra ed ai degenti negli ospedali, tra propaganda e canzonette.

I gloriosi feriti furono presentati come coloro che, in odio al materialismo e al parassitismo, concepivano i più alti valori dell’esperienza eroica della guerra.

In realtà, l’immagine del soldato obbediente e fedele, pronto a sfidare la morte per la vittoria, fu spesso contraddetta dalle lettere d’ insofferenza di molti combattenti.

Prima le guerra di Etiopia (1935) e di Spagna (1936) e poi l’intervento nella II Guerra Mondiale (1940), portarono la radio a dar spazio ai fatti di guerra a scapito della restante programmazione.

Ciò comportò anche l’impennata di acquisti e abbonamenti, che passarono da 500.000 c.a. nel 1935 ad 1.500.000 c.a. nel 1940-’43.

Nella guerra d’Etiopia si moltiplicarono le interviste ai gerarchi partiti volontari, insistendo sul diritto all’espansione di popoli virili e fecondi, mentre la guerra civile spagnola (1936-39) vide la presenza di italiani in opposti schieramenti: da una parte i legionari sostenitori della rivoluzione franchista, dall’altra i volontari delle Brigate Internazionali postisi a difesa della repubblica spagnola.

Questi fatti coinvolsero l’opinione pubblica internazionale assumendo l’aspetto di lotta tra fascismo e antifascismo; la guerra si combattè anche ai microfoni e da Radio Barcellona, i fratelli Rosselli, esuli antifascisti e teorici del socialismo liberale, lanciarono il grido “oggi in Spagna, domani in Italia”, incitando il popolo italiano alla lotta contro il regime.

Dal febbraio 1937 anche Giuliano Pajetta, da Radio Aranujez, denunciò i crimini del nazi-fascismo e dette voce alle speranze libertarie dei volontari italiani delle Brigate.

Il regime rispose col “clima iberico dell’EIAR”, che influenzò l’informazione e i programmi culturali. La risposta a Radio Aranujez fu Radio Verdad: i notiziari trasmessi, di carattere fascista, fornivano notizie non sempre attendibili ma ebbero un certo successo e crearono confusione tra gli ascoltatori spagnoli; infuriava “la guerra delle onde”.

Fu chiamato “vagabondaggio nell’etere” il fenomeno d’ascolto delle stazioni estere tramite apparecchi potenti che permettevano un ascolto vario, completo e meno “velinato” di quello proposto dal regime. Nonostante il divieto posto già dal 1930, il fenomeno acquisì dimensioni di massa; alla sua origine non vi erano solo motivi politici ma anche la curiosità e il fascino della trasgressione.

Nonostante l’inasprimento delle pene dal 1940 (fino a tre anni di reclusione e 40.000 £ di multa) vana fu la repressione fascista.

Le stazioni estere opponevano i valori della democrazia liberale al totalitarismo nazi-fascista, la radio divenne mezzo di comunicazione della libertà e aprì brecce significative nel cuore degli italiani, ora liberi di scegliere e aprire le menti a fonti d’informazione alternative.

Con lo scoppio della II guerra mondiale aumentarono le edizioni del giornale radio, si diffusero i falsi contraddittori, scambi di battute polemiche dove prevaleva sempre l’oratore fascista che spiegava le ragioni della guerra, e fu accentuato il carattere assistenziale delle trasmissioni (ad es. “Notizie da casa e a casa”, “Radiofamiglie” ecc.). Il linguaggio radiofonico dei propagandisti si contraddistinse per i toni aggressivi e la demonizzazione del nemico.

La guerra fu trasfigurata in una crociata ideologica contro il bolscevismo, l’ateismo e il materialismo, dove il soldato italiano, erede di quello romano, si batteva per garantire all’Italia un futuro glorioso simile ai fasti dell’Impero romano.

La realtà fu ben diversa: Roma subì il bombardamento alleato (19/7/1943); il 25 luglio il secco comunicato di Arista informò del crollo del regime, mentre l’otto settembre fu diffuso il proclama Badoglio sull’armistizio con gli alleati.

L’Italia scivolava nello spettro della guerra civile e dell’occupazione tedesca; l’EIAR seguì le sorti della Repubblica Sociale Italiana col nuovo direttore Ezio Maria Gray, sotto la rigida sorveglianza dei nazisti. Le tre reti furono riunificate in un solo programma ed il palinsesto acquisì toni sempre più lugubri, trattando le condizioni dei lavoratori italiani deportati nelle fabbriche del Reich e fornendo i lunghi elenchi dei caduti. Scarsi erano gli spazi riservati al varietà e all’intrattenimento.

Solo dal 25 aprile 1945 gli altoparlanti ebbero modo di trasmettere la voce di un paese libero; la volontà di potenza del nazifascismo era ormai irrimediabilmente sconfitta.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. ISOLA: “Abbassa la tua radio, per favore…Storia dell’ascolto radiofonico nell’Italia fascista”, Firenze, La Nuova Italia, 1990

G. ISOLA: “L’ha scritto la radio: storia e testi della radio durante il fascismo (1924-1944)”, Milano, Edizioni Bruno mondatori, 1998

E. GENTILE: “Il culto del littorio”, Roma-Bari, Laterza, 1993

 



 

 

 

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